La citogenetica tradizionale, pur utilissima nell’individuare un gran numero di anomalie cromosomiche, numeriche e strutturali, è necessariamente limitata nelle sue possibilità diagnostiche dal potere di risoluzione del microscopio. Soprattutto nelle malattie genetiche caratterizzate da vari dismorfismi e/o ritardi mentali, l’analisi del cariotipo con tecnica citogenetica tradizionale, a causa del suo basso potere di risoluzione, potrebbe risultare normale malgrado il un fenotipo chiaramente patologico.
Il maggiore progresso degli ultimi anni, nel campo della citogenetica, e’ rappresentato dallo sviluppo della tecnica FISH (Fluorescence In Situ Hybridation), una metodologia citochimica che consente di individuare specifiche sequenze di DNA a livello cromosomico. Il principio su cui si basa è l’appaiamento tra una sonda marcata (frammento di DNA specifico per la regione d’interesse contenente nucleotidi modificati) ed il DNA cromosomico del soggetto in studio, fissato su un vetrino. Tale tecnica permette di identificare marcatori cromosomici, di visualizzare traslocazioni bilanciate e non bilanciate, duplicazioni e riarrangiamenti cromosomici.
Un esempio di applicazioni della metodica FISH nella diagnostica clinica è rappresentato dallo studio della sindrome di DiGeorge, una malattia congenita causata da una serie di anomalie a carico del cromosoma 22 . Nello studio di tale patologia, la maggior parte gli individui affetti da sindrome di DiGeorge presentava un assetto cromosomico normale all’analisi citogenetica convenzionale. Quando sequenze di DNA relative a regioni del cromosoma 22 coinvolte in tale sindrome sono state clonate, marcate ed utilizzate per l’indagine FISH, in piu’ di 3⁄4 degli individui affetti sono state evidenziate delezioni cromosomiche: la maggior parte di queste, risultate troppo piccole per essere visibili nelle preparazioni citogenetiche standard, sono state facilmente evidenziabili dall’assenza di un segnale FISH su un cromosoma omologo.
La FISH, nonostante sia di grande applicazione nella diagnosi clinica odierna, è necessariamente limitata dal fatto di essere una tecnica di "indagine mirata": la sua applicazione consente solo di poter individuare mutazioni specifiche a livello di precisi loci cromosomici.
Con l’impiego della tecnica Array-CGH si è grado di valutare la presenza di eventuali anomalie cromosomiche a livello dell’
intero genoma in un unico esperimento, senza sapere in anticipo cosa cercare.
Rispetto ad altre metodiche di indagine, come l'esame tradizionale del cariotipo, l'analisi del genoma basata su array ha una risoluzione molto più elevata (
~100volte). Ciò consente di evidenziare anomalie del DNA che normalmente non potrebbero essere rilevate, incrementando notevolmente le possibilità di raggiungere una diagnosi certa. Inoltre, l'array-CGH permette di definire esattamente la regione genomica alterata e quindi anche i geni in essa contenuti, migliorando la comprensione delle relazioni esistenti tra variazioni del numero di copie e patologia.
Questo tecnica viene prevalentemente utilizzata per la diagnosi di fenotipi complessi associati a ritardo mentale di grado variabile. Tuttavia, l’Array-CGH trova impiego anche come tecnica di routine nella diagnosi prenatale, ed è particolarmente indicata per pazienti con feto i cui segni ecografici sono riconducibili ad una patologia cromosomica, il cui cariotipo è però risultato normale. I limiti di tale tecnica in ambito prenatale sono rappresentati dall’impossibilità di identificare riarrangiamenti cromosomici bilanciati e mosaicismi con una linea cellulare scarsamente rappresentata (inferiore al 10%).
La tecnologia microarray rappresenta oggi uno strumento fondamentale per il raggiungimento di una corretta diagnosi di laboratorio per diverse malattie genetiche.